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Coronavirus, Jacobelli: ‘I dilettanti rischiano di non ripartire, intervengano Governo e Serie A’

Il direttore di Tuttosport dipinge per noi gli scenari del futuro corredati da dati inoppugnabili: ‘Stipendi un falso problema. La crisi economica può spazzare via componenti dall’enorme valore sociale, urgono interventi di Governo e Serie A’

L’emergenza sanitaria per l’epidemia Covid-19 ha colpito anche il Calcio. Sul futuro dello Sport più amato e seguito dagli italiani, sulla conclusione del campionato, retrocessioni e promozioni, società traballanti economicamente, interviene Xavier Jacobelli, direttore di Tuttosport. L’unico dato certo, al momento, è che una data sulla ripresa degli allenamenti e delle partite non c’è e per il resto bisognerà ragionare molto. Tempo non ce n’è, invece, per lo Sport dilettantistico: urge un intervento della Stato e la solidarietà della ricca Serie A.

L’epidemia aveva già iniziato a circolare in Italia con i primi ricoveri, eppure si erano giocate partite di campionato, di Champions, sono state permesse trasferte, invece di sospendere tutto. Il calcio si doveva fermare prima?

L’ultima partita in ordine cronologico è stata Juventus-Inter dell’8 marzo e, considerando cosa è successo immediatamente dopo, se fosse stato possibile sarebbe stato meglio fermarlo prima. È stato inverecondo il balletto tra il 28 febbraio e l’8 marzo: partite a porte chiuse, partite rinviate, partite sospese, di nuovo partite a porte chiuse. Il Calcio, soprattutto la Serie A, perché la B e la C hanno seguito comportamenti virtuosi con maggiore rapidità, ha dovuto attendere l’intervento governativo. Adesso subentra l’aspetto economico. Il calcio è un’azienda che ogni anno versa nelle casse dell’erario 1 miliardo e 250 milioni di euro, cioè l’1% del prodotto interno lordo italiano, che viene seguito da circa 40 milioni di italiani. E’ chiaro che come tutte le altre aziende preme per riprendere la propria attività. Su questi scenari di ripresa, però, c’è un gigantesco ‘ma’ legato a ciò che dirà la comunità scientifica, perché nessuno può sapere quando gli allenamenti e, in subordine, le attività agonistiche potranno ricominciare. Si possono solo prefigurare degli scenari plausibili: ripresa da metà maggio, a fine maggio, dai primi di giugno sforando all’estate per arrivare alla chiusura delle coppe europee, ma nessuno ha in tasca la data certa della ripresa e bisogna aspettare l’evoluzione della situazione, con la chiusura imposta dal Governo che arriva già ai primi di maggio, di fatto”.

Scudetto assegnato e in che modo, salvezza raggiunta o meno, promozioni, play-off e play-out: come uscirà il mondo del calcio da questa esperienza? Un’ipotesi su cosa succederà con i campionati italiani e la Champions? 

Se non si dovesse riprendere bisognerà fornire all’Uefa i nomi delle squadre partecipanti alla Champions League e all’Europa League sulla base della classifica all’8 marzo, ma non bisognerà assegnare alcun titolo. Sarebbe totalmente ingiusto e già la Juventus, per quanto in maniera ufficiosa, ha fatto sapere che non sarebbe interessata ad una soluzione del genere. Il problema si porrebbe per le squadre che dovrebbero retrocedere e quelle che verrebbero promosse, dalla Serie A alla B e quelle dalla C. In un’intervista Adriano Galliani ha confermato l’ipotesi di comunicazione all’Uefa delle squadre con la classifica attuale e un allargamento dei campionati di A e B a 22 squadre. Questa è la situazione ad oggi, ma immagino che la Federcalcio tenterà di chiudere la stagione nel migliore dei modi possibili”.

All’inizio dell’emergenza sanitaria Sandro Mazzola aveva lanciato la proposta ai calciatori di devolvere un 5% per aiutare la sanità nell’emergenza, adesso sono le società che chiedono ai calciatori di tagliare gli stipendi. Il sistema calcio è a rischio di saltare?

Secondo me questo è un falso problema perché, come dimostra la Juventus che ha fatto da battistrada, poi l’Inter, il Cagliari, l’Atalanta e l’Udinese con il taglio degli stipendi ai dirigenti, ogni società deciderà con i propri tesserati, anche perché i contratti con i giocatori sono diversi ognuno dall’altro, con clausole, bonus legati al numero di gol segnati o alle convocazioni in Nazionale che allo stato attuale devono essere rimessi in discussione. Vedo difficile una soluzione uguale per tutti, perché il monte ingaggi è diverso tra una squadra che lotta per lo scudetto e una che si batte per salvarsi. Il vero problema è la trascuratezza con la quale viene trattato il mondo dei dilettanti: il 98% dei calciatori e delle calciatrici in attività nel nostro Paese, è iscritto alla Lega nazionale dilettanti che ogni anno organizza 550mila partite, dai settori giovanili alla Serie D. Ebbene, il mondo dei dilettanti, 1 milione e 45mila tesserati, 12mila società, sta rischiando moltissimo, stante la crisi economica che stiamo fronteggiando, ma che si prospetta più grave nei giorni a venire, di non riprendere l’attività. Urge necessariamente un intervento di mutualità da parte della Serie A più incisivo, sia da parte dello Stato. Soprattutto perché lo Sport dilettantistico ha anche un valore sociale, con migliaia di ragazzi e ragazze che praticano Sport di base, togliendoli dalla strada e offrendo attività alternative e sociali molto importanti per la comunità”.

Pierfrancesco Quaglietti

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