La retrocessione in Serie C è l’unica certezza dalla quale ripartire, il resto, pausa di riflessione inclusa, altro non che è una lenta agonia

Aggrappati a un ripescaggio, o riammissione come ama definirla la proprietà del Cosenza calcio. Una remota speranza che offende e disorienta la già compromessa passione del popolo rossoblù. Ha il sapore beffardo dell’inizio della fine, perché si continua a rimanere troppo distanti dalla realtà. Che è quella della Serie C, campionato al quale si dovrà partecipare complice una scellerata gestione che ha portato alla retrocessione il 10 maggio scorso.

Una retrocessione figlia di una infinita duplicazione di errori, la cui fotografia è ben rappresentata da quei 9 punti di distacco dal quint’ultimo posto. Certo, i limiti tecnici e tattici emersi già nelle battute iniziali del campionato, a cui soltanto Trinchera e Occhiuzzi non avevano mai fatto caso, erano più di un campanello d’allarme. Ma non solo. L’assenza totale di organizzazione e di punti di riferimento capaci di essere guide nel corso di una stagione nata male e finita peggio.

Una finale amaro che evidentemente non ha insegnato nulla. A quindi giorni dalla retrocessione non si intravede nulla di buono. Tranne avere appreso da terzi che questo è il momento per una pausa di riflessione. E i giorni passano. Una lenta agonia che porterà a un finale già scritto. Come accaduto in campionato, il cui atto conclusivo ha messo la firma in calce a una retrocessione annunciata.

Non è la speranza della riammissione in Serie B quello di cui c’è bisogno adesso. Ma imprimere l’accelerata decisiva per programmare la Serie C 2021-2022. Il ritardo accumulato è già considerevole, con il rischio concreto di rivedere un film già noto: scelte azzardate, ritiro a San Giovanni in Fiore con una decina di calciatori, scarsa organizzazione e tanta improvvisazione. L’inizio della fine… L’alternativa? Passare la mano, in attesa che accada qualcosa di serio e soprattutto concreto.